Riunione fiume al Mimit per una decisione cruciale, mentre i sindacati lanciano l’allarme sulla sostenibilità e i finanziamenti.
di Salvatore Stano
ROMA (EN24) È una giornata campale quella dell’8 luglio 2025 per il futuro dell’ex stabilimento Ilva di Taranto e delle sue migliaia di lavoratori. Al Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) è in corso una riunione “no stop” che, come annunciato dal Ministro Adolfo Urso, potrebbe protrarsi fino a notte fonda, con l’obiettivo di raggiungere una decisione comune e definitiva. In gioco c’è il destino di 4.050 lavoratori, di cui 3.500 solo nello stabilimento tarantino, e la prospettiva di una piena decarbonizzazione dell’impianto.
Il Ministro Urso ha ribadito l’inevitabilità di una decisione in tempi brevi, sottolineando come l’incontro sia “decisivo”. Prima del tavolo interistituzionale, Urso, insieme alla Ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone, ha incontrato i sindacati per illustrare le proposte ministeriali in vista di un accordo di programma interistituzionale. Questo accordo è fondamentale per il rilascio di un’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che sia “estremamente sfidante ai fini sanitari” ma al contempo “sostenibile sul piano economico“.
Il monito del Ministro è chiaro: “se non ci sarà un’AIA sanitaria e ambientale condivisa dagli attori, la chiusura dello stabilimento sarà inevitabile”. Le discussioni, a suo dire, sono giunte al termine, ed è tempo di passare alle decisioni.
Fim, Fiom e Uilm hanno espresso con forza le loro preoccupazioni, manifestando stanchezza dopo “13 anni di sacrifici“. Le sigle sindacali non intendono accettare una nuova crisi ambientale, sociale e occupazionale. Per loro, la decarbonizzazione deve partire da Taranto, ma necessita di “basi solide”, in primis un intervento statale che garantisca la continuità produttiva.
Le criticità attuali sono evidenti: l’incidente all’altoforno 1, la mancata ripartenza dell’altoforno 2, i problemi all’altoforno 4 e l’assenza di un piano finanziario credibile. I sindacati chiedono che lo Stato intervenga per mettere in sicurezza gli impianti e garantire una marcia sostenibile, specialmente su altiforni e acciaierie. Sottolineano inoltre che l’accordo di programma e il processo di decarbonizzazione non possono prescindere da una produzione stabile.
Un altro punto dolente, secondo Fim, Fiom e Uilm, riguarda lo stanziamento di 200 milioni di euro previsto dal decreto in fase di conversione. Questa cifra, a loro avviso, è “insufficiente” per riavviare gli impianti e avviare un percorso credibile verso l’obiettivo di 6 milioni di tonnellate annue fissato per il 2026. La preoccupazione è che non si possa “basare tutto sulla speranza che l’unico altoforno in funzione non si fermi irrimediabilmente“.
La riunione in corso al Mimit rappresenta quindi un crocevia cruciale, dove le esigenze ambientali, sanitarie, economiche e occupazionali dovranno trovare una sintesi per determinare il futuro dell’ex Ilva e della comunità di Taranto.
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