Il capo del Comitato militare della Nato: «All’Ucraina dai Paesi del Patto atlantico da gennaio sono arrivati materiali per 33 miliardi di dollari»
di Lorenzo Cremonesi
KIEV – «Gli ucraini si dimostrano ottimi combattenti. Un esercito che deve restare dalla nostra parte, un modello per l’Europa. Ad ogni occasione la Nato ribadisce che il nostro pieno sostegno per l’Ucraina non è mai cambiato e non muterà sino a che non ci sarà una pace giusta e duratura». Nel giorno della visita di Mark Rutte a Kiev, parliamo con l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che nel ruolo di capo del Comitato militare della Nato è tra i collaboratori più importanti del suo Segretario generale.
Il 20 agosto lei ha tenuto una conferenza con 32 responsabili militari sia Nato che della Coalizione dei Volenterosi. Si erano appena tenuti i due summit in Alaska tra Putin e Trump e poi a Washington tra quest’ultimo, Zelensky e gli europei. C’era la sensazione che si potesse avviare il processo di pace con la Russia e voi stavate pensando alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Ma da allora Mosca ha gelato le speranze. Cosa farete?
«Intendiamo proseguire gli aiuti militari e anche aumentarli. Ormai è chiaro che gli ucraini cercano il dialogo, ma i russi sono riluttanti e fanno melina per prendere tempo. Spero che vengano inasprite le sanzioni mirate a fare crescere la tensione interna contro Putin. La nostra speranza è permettere all’Ucraina di negoziare da una posizione forte».
I risultati del vostro incontro?
«Abbiamo fatto il punto per un’azione di concerto dell’Alleanza. Vogliamo facilitare la fine veloce delle ostilità».
Cosa la Nato ha dato sino ad oggi all’Ucraina, possiamo quantificarlo?
«Circa 40 giorni fa assieme al presidente Trump e i suoi consiglieri abbiamo creato il Purl, che sta per Prioritized ukrainian requirement list, ovvero una lista prodotta dagli ucraini sulla base delle loro esigenze militari effettive sul campo. Questa lista viene poi validata dal generale Alexus Grynkewich, che è il nostro comandante per l’Europa. Quindi si va a verificare che gli Usa possano inviare tali materiali militari in modo rapido. In sostanza, gli alleati tra i 52 volenterosi pro ucraini, che non sono solo europei o membri Nato, finanziano le armi americane che vanno velocemente a Kiev. Ad oggi la formula Purl ha inviato armi per un valore di un miliardo e mezzo di dollari».
Chi ha già pagato?
«Sono 3 pacchetti da circa 500 milioni l’uno. Il primo è stato finanziato dai Paesi Bassi a inizio agosto, il giorno dopo il secondo da Danimarca, Finlandia e Svezia. Il terzo è stato pagato dalla Germania a metà mese».
Che armi?
«Materiale di difesa area contro missili e droni, oltre a munizioni di vario calibro. Queste del resto sono da sempre le priorità ucraine. Gli Usa stanno lavorando a pieno ritmo per incrementare gli arsenali e renderli disponibili. Il materiale bellico viene distribuito dai canali Nato con sede in Germania, che da tempo invia anche le armi rese disponibili in modo bilaterale da singole nazioni. Dunque, anche nella modalità Purl, la Nato è decisiva per validare la lista ucraina e infine fare arrivare le armi».
Italia, Francia, Gran Bretagna e altri Paesi rilevanti stanno collaborando al Purl?
«Per ora non ho informazioni, potrebbero stare organizzando, lo saprò dopo».
Ma quanto ha dato la Nato all’Ucraina?
«I Paesi Nato hanno dato il 99% degli aiuti militari complessivi. Nel 2024 il loro valore ha toccato i 50 miliardi di dollari. Dal primo gennaio 2025 siamo già a 33 miliardi, ma per la fine dell’anno saremo in linea col dato precedente, le proiezioni sono parecchio ottimiste».
In parallelo a Washington i capi militari Usa vedono i responsabili militari della coalizione dei Volenterosi: cosa si propongono?
«È un consesso di forze, guidate da Londra e Parigi, che in prospettiva di un processo di pace vuole accompagnare la normalizzazione dell’Ucraina. Si pensa all’economia, alla sicurezza del territorio, dei cieli e di tanto altro. Tra i loro compiti anche organizzare il sistema volto a dissuadere la Russia ad attaccare ancora».
Gli ucraini affermano che tra le garanzie di sicurezza debba essere inclusa la presenza di contingenti di Paesi alleati sul loro territorio. I Russi sono assolutamente contrari. Le difficoltà restano immense, non crede?
«Questi temi sono parte della politica internazionale e del negoziato con Mosca. Ma noi in sede Nato non ne abbiamo assolutamente parlato, neppure accennato».
Non avete mai affrontato la questione dei contingenti di terra? Di quali nazionalità, in che numero, dove, con che regole d’ingaggio?
«Per nulla, è come minimo prematuro. Sappiamo che la questione dei contingenti è stata sfiorata da singole nazioni, forse a livello bilaterale. Ma, ripeto, resta embrionale. Le garanzie di sicurezza decise dai politici devono definire il contesto. Per esempio: sul terreno, chi decide se eventualmente russi o ucraini hanno violato gli accordi? Chi elabora le regole d’ingaggio? Quanto territorio va presidiato? Gli eventuali soldati devono solo monitorare o anche difendere e in questo caso, con che armi? Nulla è stato definito. Nel mio ambito non so neppure se c’è davvero disponibilità di truppe, e magari qualcuno potrebbe pensere a soldati di Paesi non Nato. Tutto è aperto. Con un punto fermo: la Nato resta impegnata a difendere prima di tutto i cittadini dei suoi Stati membri».
Il ministro degli Esteri russo Lavrov dice che anche Mosca deve partecipare alle garanzie di sicurezza dell’Ucraina. Kiev rifiuta e ricorda che i russi hanno violato le intese del 1994. Dunque?
«La frase di Lavrov rientra nel gioco delle parti. Invece capisco benissimo gli ucraini. Siamo ancora molto lontani da qualsiasi accordo. Occorre trattare e servirebbe un cessate il fuoco presto per negoziare».
FONTE: CORRIERE DELLA SERA
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