La madre della 41enne ha presentato un esposto alla Procura di Brindisi. «Quell’uomo l’ha convinta che tramavamo contro di loro. Lei sta male, così finisce male»
Non ho notizie di mia figlia da quattro anni. Chiedo solo di poter parlare con lei e, qualora non fosse intenzionata a riprendere i rapporti, almeno di avere contatti telefonici mensili». La giornalista Giusy Carruezzo è disperata. Dopo essersi rivolta ai Servizi sociali del Comune di Fasano, ha scritto ai magistrati della Procura della Repubblica di Brindisi e ha tappezzato la città di Fasano di manifesti perché la figlia, Sara Sinisi, 41 anni, possa mettersi in contatto con lei. Ha persino interpellato la psicologa Roberta Bruzzone che ha ipotizzato una manipolazione psicologica della verità.
Da quattro anni non vede sua figlia. Una situazione dolorosa.
«Era solo una adolescente quando nel 1997 incontrò un ragazzo di undici anni più grande di lei. Eravamo in vacanza nella nostra casa alla selva di Fasano. Iniziarono a frequentarsi, poi lei si iscrisse a Giurisprudenza nell’Università di Bari e la frequentazione divenne più assidua fino a quando non decise di lasciarlo».
Cosa accadde?
«Sara interruppe spontaneamente nel 2008 quel rapporto inquieto. Non ne poteva più di quella cerchia chiusa da cui era difficile uscire, lo disse proprio Sara riferendosi alla famiglia di lui. Nel frattempo, informò me e il padre delle esortazioni di lui a lasciare la famiglia. E poi ancora le proibizioni, i condizionamenti, le pressioni che le faceva. Le proponemmo, nel tentativo di allontanarla dall’ambiente rivelatosi equivoco, un trasferimento a Roma, dove viveva l’amica d’infanzia Valentina. Sara ci rassicurò: “So cavarsela da sola”. E restò a Bari».
Nel 2011 poi tornarono insieme.
«Dall’inizio della convivenza avvenuta nel 2011, Sara progressivamente allentò i rapporti con le sue amiche di infanzia, con quelle di università, poi con i genitori e con tutti parenti. E soprattutto interruppe i corsi all’Università che non riprenderà più».
Nel 2012 morì il padre di Sara, Franco Sinisi, e il legame con la famiglia d’origine divenne sempre più precario.
«Fummo accusati di non aver accettato il legame con il compagno. Passarono gli anni e io non vidi e sentii mia figlia se non in rare circostanze per richieste economiche. Dopo lunghi periodi di silenzio, Sara si fece viva per avere prestiti, cinquemila euro solitamente, nonostante il mio bonifico mensile e una somma ingente dilapidata in poche settimane».
Signora Giusy, in modo particolare cosa fece precipitare la situazione?
«Nel 2015 Sara mi comunicò di non avere più il cellulare per “non essere turbata dalla mamma e dagli amici di Brindisi”. In realtà fu una strategia per obbligare amici e parenti di Sara a parlare solo attraverso il marito che leggeva i messaggi e ascoltava, quando presente, le nostre conversazioni in viva voce. In quel periodo non capii se mia figlia fosse vittima o complice di quello che sembrava un vero e proprio ricatto emotivo nei confronti della famiglia d’origine. Solo grazie alla psicologa Lorita Tinelli capii i meccanismi di difficile comprensione per un genitore».
E poi?
«Nel 2020 fu ricoverata d’urgenza all’ospedale Perrino di Brindisi. Eravamo al telefono insieme quando si sentì male. Nonostante il serio quadro clinico, il marito continuò a fare ostruzionismo e convinse mia figlia che vi era un piano ordito ai suoi danni dalla mamma e dai medici di fiducia durante la degenza. Così passammo dal “mamma per favore non lasciarmi qui” (la sera del primo ricovero, ndr), al convincimento che la mamma tramò contro di lei per distruggerla e per farla dichiarare incapace di intendere e di volere».
Una situazione davvero difficile. E poi?
«Lui lavorava saltuariamente e il mio contributo economico copriva appena le spese essenziali per Sara e il marito. Anni dopo mi riferirono che si era sentita male in chiesa durante la celebrazione di un battesimo e fu portata in ospedale. “Mi dispiace sua figlia è in coma – mi dissero – Deve essere curata in centri specializzati”. Il marito venne nominato amministratore di sostegno nel 2021 e viveva delle pensioni di invalidità e accompagnamento di Sara. L’amministrazione di sostegno fu chiusa nel gennaio scorso. E, in base al parere del giudice, Sara ha riacquistato la sua capacità di agire e non necessita di alcun supporto».
Qual è il suo appello?
«Io chiedo soltanto che mia figlia si curi in centri adeguati come suggerito da uno dei Ctu nominati dal Tribunale, il polo specialistico Careggi di Firenze. Chiedo di potere parlare con lei. Il mio è un dolore immenso, come si può vivere senza avere notizie di una figlia in queste condizioni?».
FONTE: CORRIERE DEL MEZZOGIORNO
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