Fabio Marchese Ragona ha lavorato con Bergoglio all’autobiografia «Life: la mia storia nella Storia»: «Parlava degli abusi e di Emanuela Orlandi come di sfide incompiute. E mi salutava con un segno di croce e una battuta: “Ora vai, non rompere le scatole”»
«Una volta mi ha fatto trovare le empanadas e ha detto: “Sei digiuno, ora le mangi tutte”. Un’altra dei cioccolatini portati dalla Amazzonia: “Se sono buoni li mangio anch’io”». Era così papa Francesco: «Sensibile, ironico e determinato», dice il vaticanista Fabio Marchese Ragona, mentre lavorava con lui all’autobiografia (Life: La mia storia nella Storia, HarperCollins ) che sarà in edicola dal 3 maggio con il Corriere e la Gazzetta (a 12,99 euro) e che Lucky Red renderà un film: primo ciak fine 2025.
Come l’ha convinto?
«Una Grazia. Gli dissi che sarebbe stato bello ascoltare la sua storia attraverso i grandi eventi. Mi rispose che gli interessava per i giovani ai quali, da anziano, voleva lasciare un messaggio. E così ha aperto il libro dei ricordi per un bilancio di gioie, dolori, successi e anche sconfitte».
Il primo?
«Lo scoppio della guerra. Aveva solo tre anni. Gli ho chiesto come facesse a ricordare. “Ho dei flash. Mamma e papà che urlavano: ‘Hitler è un mostro’. O Margherita Musonero, amica di nonna, che le raccontava cosa succedesse ai parenti in Italia. Ci mandavano via, ma noi bambini origliavamo di piccoli separati dalle mamme: un trauma”».
E della pace?
«Ricordava una vicina che gridava a sua mamma: “Signora Regina, esca, è finita la guerra”. Vedere quelle donne semplici piangere, felici, per la pace, diceva, lo ha segnato. E convinto a lottare sempre contro le guerre».
Si è mai commosso, mentre raccontava?
«Sì, della dittatura in Argentina: “Un genocidio generazionale”. Ha detto di aver fatto tutto ciò che poteva».
Lo accusarono di complicità col regime.
«Andò da Videla, a celebrare messa, per liberare due confratelli gesuiti. Ci riuscì ma non potè nemmeno salvare la sua amica Esther. Fu interrogato quattro ore e mezza su quei fatti nel 2010. E rivendica: “Sono uscito pulito da una brutta manovra di qualche sinistrino che voleva mettermi il cappio al collo”».
Cosa le ha confessato del Bergoglio uomo?
«La sua depressione. Quando fu “esiliato per punizione” e non sapeva perché. Alla fine capì».
Cosa?
«Lo dice: “Mi serviva un periodo di purificazione. Passai quel tempo a confessare e a leggere libri sui Papi. Non immaginavo di diventarlo”».
Come lavoravate?
«All’inizio in incontri di tre, quattro ore. La correzione di bozze per telefono. Ogni tanto lui mi chiamava e io naturalmente rispondevo sempre.
Una volta, in metro, dissi: “Santo Padre, mi permette di chiamarla solo Padre, altrimenti qui pensano sia matto?” E lui, sorridendo: “Chiamami pure Giorgio”».
Dicono che amasse fare scherzi. A lei li ha fatti?
«Una volta mi chiamò dicendo. Sono el Coco : che significa l’Uomo nero. Anche se mi vesto di bianco”. Amava strappare un sorriso».
Dove lavoravate?
«A casa sua: al secondo piano di Santa Marta. Una volta mi ha anche detto: “Vieni, ti faccio vedere la stanza dove dormivo durante il Conclave”. La guardia svizzera era allarmatissima».
Retroscena del Conclave?
«Mi ha detto di aver capito, subito dopo pranzo, quel giorno, che sarebbe stato eletto. E che non voleva entrare nella cappella Sistina. Si soffermò col cardinal Ravasi a discutere di libri sapienziali. Tanto che li richiamarono. Ha ammesso: “Inconsciamente non volevo essere eletto”».
E cosa ha pensato davanti alla folla che lo acclamava?
«Alla nonna, alla mamma e ai poveri di Buenos Aires che non avrebbe rivisto».
E dopo?
«Ha chiamato il Papa emerito e il nunzio apostolico in Argentina per dirgli di avvisare i vescovi del Paese di non venire Roma e dare i soldi dei biglietti aerei ai poveri. Racconta la felicità di tenersi la sua Croce e le sue scarpe ortopediche. E conferma di non essere andato al palazzo Apostolico perché avrebbe “avuto bisogno di uno psicologo”».
L’hanno accusato di avere un carattere vendicativo.
«Al contrario. Gliene hanno fatte di tutti i colori e ha perdonato sempre tutti».
Degli abusi cosa dice?
«È una delle sue sfide incompiute. Invita tutti a lavorare per trovare la verità. Lo dice anche di Emanuela Orlandi».
Quale immagine rivede?
«Quando, finito il lavoro, mi accompagnava all’ascensore. Mi faceva un segno di Croce con le dita sulla fronte. E scherzava: “Ora vai. Non rompere le scatole”».
FONTE: CORRIERE DELLA SERA
Be the first to comment on "Il biografo di papa Francesco: «Mi disse: “Qualche sinistrino voleva mettermi il cappio al collo”. Inconsciamente non voleva essere eletto»"