La Commissione europea apre un nuovo fronte contro il colosso di Mountain View per l’uso dei contenuti online nella formazione delle tecnologie di intelligenza artificiale
di Redazione
Bruxelles (EN24) – Ancora una volta, le Big Tech sono sotto i riflettori di Bruxelles. Questa volta, l’attenzione si concentra su Google, accusata di aver violato le norme antitrust dell’Unione Europea nell’utilizzo dei contenuti editoriali e creativi per addestrare le sue tecnologie di intelligenza artificiale, tra cui Gemini AI, il chatbot rivale di ChatGPT. La Commissione europea ha avviato un’indagine approfondita per verificare se il gigante tecnologico abbia adottato pratiche sleali, favorendo il proprio sviluppo di servizi AI a discapito di concorrenti e editori.
Secondo le autorità europee, Google potrebbe aver imposto condizioni discriminatorie agli editori e ai creatori di contenuti, ottenendo un accesso privilegiato ai materiali caricati su piattaforme come YouTube e sui siti web, senza offrire loro un’adeguata compensazione economica o il diritto di rifiutare l’utilizzo dei propri contenuti. Questo comportamento, si sostiene, avrebbe permesso al colosso di Mountain View di alimentare i propri servizi di intelligenza artificiale, generando risposte e contenuti senza rispettare i principi di equità e concorrenza leale.
In particolare, la Commissione teme che questa asimmetria possa penalizzare gli sviluppatori di modelli rivali e alterare il mercato dell’AI, dando un vantaggio sproporzionato a Google. La preoccupazione riguarda anche l’uso di contenuti caricati su YouTube: i regolatori vogliono capire se i video degli utenti siano stati sfruttati per addestrare modelli generativi di proprietà di Big G, ancora senza un’adeguata remunerazione o meccanismi di opt-out per gli autori.
L’indagine evidenzia un problema di fondo: l’enorme quantità di dati, spesso generati da giornalisti, creator e utenti, che alimentano le tecnologie di intelligenza artificiale senza il consenso né una giusta ricompensa. La Commissione si interroga su come Google stia “insegnando” a Gemini e altri sistemi AI, utilizzando contenuti di proprietà di terzi, molto spesso senza che questi ultimi ne siano consapevoli o abbiano dato il permesso.
Questa dinamica sta mettendo a dura prova i modelli di business dei creatori di contenuti, che si trovano a vedere il proprio lavoro sfruttato per alimentare strumenti che potrebbero minacciare la loro stessa esistenza online, in un patto di fiducia e collaborazione ormai compromesso.
Google ha risposto all’indagine con una nota ufficiale, sottolineando che “questa azione rischia di ostacolare l’innovazione” e che “gli europei meritano di beneficiare delle tecnologie più avanzate”. La società ha affermato che continuerà a collaborare con le autorità e a lavorare con il settore dell’informazione e della creatività per accompagnare la transizione verso l’era dell’intelligenza artificiale.
D’altra parte, le autorità europee evidenziano che il punto centrale non riguarda solo la tecnologia, ma soprattutto le modalità con cui gli algoritmi vengono istruiti. La questione riguarda il fatto che, dietro ai grandi progetti di AI come quelli di Google, OpenAI e altri, ci sia una montagna di dati e contenuti – spesso senza consenso – che alimentano risposte e servizi, rischiando di compromettere il rapporto di fiducia tra creatori e piattaforme.
L’indagine di Bruxelles si inserisce in un quadro più ampio di sfide alle grandi aziende tecnologiche statunitensi. A settembre, la Commissione europea aveva già multato Google di quasi 3 miliardi di euro per pratiche discriminatorie nel settore pubblicitario digitale, mentre recentemente X, la società di Elon Musk, è stata multata di 120 milioni di euro per violazioni sui contenuti online.
L’intera vicenda dell’IA formata con dati presi in modo discutibile rappresenta una sfida globale, che mette in discussione i modelli di business e i principi etici alla base dei sistemi di intelligenza artificiale. La questione centrale riguarda i dati: se una tecnologia come Gemini può fornire risposte affidabili, lo deve a contenuti di terzi, spesso senza il loro consenso e senza un’adeguata ricompensa, rischiando di sconvolgere il delicato equilibrio di Internet e del mondo digitale.

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