L’équipe guidata dal professor Francesco Boccia dell’oftalmologia universitaria applica la terapia che prevede un’unica somministrazione nei pazienti anziani, che a causa della maculopatia rischiano di perdere la vista
Una singola somministrazione al posto di iniezioni ripetute per tutta la vita: grazie alla terapia genica sarà possibile controllare la degenerazione maculare senile essudativa, principale causa di perdita visiva in età avanzata nel mondo occidentale.
Per la prima volta al Policlinico di Bari è stata somministrata la terapia genica da parte del professor Francesco Boscia, ordinario di oftalmologia dell’Università di Bari, su una paziente donna di 83 anni che dal oltre un anno era costretta a recarsi in ospedale per eseguire le iniezioni intravitreali di farmaci anti-VEGF ogni 4-6 settimane.

L’équipe del professor Boscia (al centro)
La degenerazione maculare senile è causata proprio da un’eccessiva produzione di Vegf (Vascular endothelial Growth Factor), una molecola che stimola la crescita anomala di nuovi vasi sanguigni nella retina, e la malattia viene trattata con iniezioni periodiche per controllare la progressione della patologia.
«Le attuali terapie richiedono una gestione cronica, con un notevole impatto sulla qualità di vita dei pazienti e sui costi del sistema sanitario – spiega Boscia, che è anche presidente nazionale del Società scientifica della chirurgia vitreo-retinica (GIVRE) – . L’innovazione della terapia genica consiste nell’iniettare al di sotto della retina un farmaco che insegna alle cellule retiniche a produrre in modo continuo e autonomo le molecole di anti-VEGF, contrastando così la causa scatenante della malattia. L’obiettivo è quello di ridurre o eliminare del tutto la necessità delle iniezioni periodiche, che oggi rappresentano lo standard di cura».
Si tratta di uno studio multicentrico che coinvolge centri di eccellenza in tutto il mondo. In Italia solo pochissimi: tra questi ci sono l’ospedale oftalmico “Sacco” di Milano e l’università Cattolica di Roma. Bari partecipa alla ricerca con il team della Clinica Oculistica Universitaria.
L’intervento viene eseguito una sola volta, attraverso la somministrazione del farmaco sotto la retina, in aree di sicurezza che non coinvolgono né la macula né il nervo ottico, in regime di day surgery cosicché il paziente può tornare a casa in giornata. Nelle settimane successive, il paziente viene solo monitorato con strumenti non invasivi.
«È una frontiera completamente nuova: se l’efficacia venisse confermata – conclude Boscia – potremo trattare in modo più semplice e duraturo una patologia cronica che oggi richiede fino a sei o sette iniezioni all’anno. Questo comporterebbe benefici enormi non solo per i pazienti e le loro famiglie, ma anche per il sistema sanitario, riducendo il carico assistenziale e i costi legati al continuo follow-up».
fonte: CORRIERE DEL MEZZOGIORNO
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