La premier ha spiegato ieri ai «Volenterosi» che ora è necessario affiancare gli sforzi del presidente Usa: «Attaccarlo farebbe saltare tutto». E sulla sede del trilaterale insiste con la candidatura di Roma: Macron punta a Ginevra
Prima è volata a Roma, per collegarsi alla videocall dei Volenterosi e mettere a punto una linea comune da presentare oggi alla Casa Bianca quando i maggiori leader europei, la presidente Ue von der Leyen, il capo della Nato Rutte incontreranno Trump e Zelensky. Poi in serata Giorgia Meloni — sempre appesa al telefono — si è diretta a Washington.
Nessuno sa prevedere se si farà un vero passo avanti. Sicuramente l’intenzione è di non ripetere la scena di sei mesi fa, quando Trump prese metaforicamente a schiaffi Zelensky a favore di telecamere, in uno scontro epico. Tanto che, raccontano, il vero nodo della serata di ieri nei colloqui fra i leader è stato proprio quello del format delle dichiarazioni alla stampa. Alla Casa Bianca avevano pensato a comunicazioni lampo di Trump e Zelensky nello Studio Ovale subito dopo il faccia a faccia. Ma il rischio che si paventa — come Meloni ha spiegato agli alleati — è che tutto si trasformi in una presa della scena da parte di Trump che finisca per ammutolire Zelensky e tutti i leader, o in un pericoloso sovrapporsi di voci e posizioni. Quindi, è forte la pressione su Trump perché invece si adotti un modello più istituzionale, come in Alaska: dichiarazioni dell’uno e dell’altro presidente senza possibilità di domande, a fine giornata.
Si vedrà se Trump si convincerà. Sicuramente, come dice ai suoi Meloni, al momento non si può fare altro che accompagnare i suoi sforzi con pazienza e tenacia, senza attaccarlo, anche quando la voglia verrebbe meno per certi toni troppo amichevoli che ha usato con Putin. Ma, anche ieri agli altri leader la premier lo ha detto: il rischio è che Trump, se attaccato, faccia saltare tutto e di fatto dica che l’Ucraina non vuole la pace, l’Europa non collabora, e allora facciano come gli pare perché gli americani si accorderanno direttamente con i Russi. Un disastro, che lascerebbe l’Europa al palo. Per cui, si tesse con il filo che si ha.
E dunque, con che posizione l’Italia va a Washington? Detto che la premier non dà un grande peso alle call dove troppi Paesi partecipano senza arrivare a una conclusione se non quella, commentano i suoi, di accontentare Macron che vuole dimostrare «di essere lui il vero leader dell’Europa», in una nota Meloni scrive che nella discussione «è stata ribadita l’importanza di continuare a lavorare con gli Stati Uniti per porre fine al conflitto e raggiungere una pace che assicuri la sovranità e la sicurezza dell’Ucraina, che dovrà essere coinvolta in ogni decisione». In più «la discussione ha confermato la necessità di mantenere la pressione collettiva sulla Russia e di solide e credibili garanzie di sicurezza».
Parole ovviamente più generiche di quelle i leader si sono scambiati nelle conversazioni più ristrette. Il punto chiave, per la premier che ne ha parlato anche con Zelensky, è assicurare all’Ucraina che non sarà lasciata sola in futuro. E che, questo il piano «inventato da noi», come ripete la premier, si possa estendere l’applicazione dell’articolo 5 della Nato in modo che se l’Ucraina venisse attaccata sarebbe difesa dall’alleanza, pur non facendone strutturalmente parte.
L’idea non convince Macron, che spinge per un intervento diretto dei Paesi europei a difesa dell’Ucraina, con contingenti militari. Ma Meloni ha ribattuto: «La Russia ha un milione e trecentomila soldati: quanti dovremmo mandarne noi per essere all’altezza del compito?». E ancora: «Se uno dei nostri soldati dovesse morire, faremmo finta di niente o dovremmo reagire? Perché se reagiamo è ovvio che dovrà farlo la Nato. E allora tanto vale attivare subito la clausola».
L’idea sembra interessare sia Zelensky che Trump, meno Macron che non gradisce la posizione italiana, in uno scontro di posizionamenti che va avanti da tempo. Sarà un passaggio cruciale, il primo di altri nodi «estremamente complessi», come dice la premier: l’adozione del russo come lingua ufficiale, i territori che Putin pretende, il cessate il fuoco. Ma preventiva è la questione della sicurezza: cosa può portare a casa Zelensky per cedere ad alcune condizioni dei russi, e spiegare ai suoi compatrioti che «morire è servito a qualcosa?». Una difesa automatica, è convinta la premier, sarebbe «un risultato concreto, solido» per lui. Si vedrà già stasera se ci saranno passi avanti. E se magari si potrà dar seguito alla proposta italiana di Roma come sede di un possibile trilaterale Putin, Zelensky, Trump. Agli ultimi due non dispiacerebbe, ma anche qui il braccio di ferro è in atto: pare che ieri Macron si sia inalberato di fronte all’ipotesi, proponendo semmai Ginevra. Meloni con una battuta lo avrebbe calmato. Non è questo il momento di dividersi.
FONTE: CORRIERE.IT
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