Il governo sceglie date ravvicinate per la consultazione sulla separazione delle carriere, ma critici evidenziano violazioni delle procedure costituzionali e rischi legali.
di Redazione
ROMA – Il governo italiano si appresta a fissare la data del referendum confermativo sulla riforma della separazione delle carriere nella giustizia tra il 5 e il 20 marzo 2025, ma questa scelta solleva forti dubbi tra i giuristi e gli esperti costituzionalisti. Secondo prassi consolidata, dal 2001 in poi, per le consultazioni referendarie si sono sempre rispettati i tre mesi di attesa dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, periodo durante il quale tutti i soggetti interessati potevano richiedere il referendum.
A Via Arenula, infatti, sono state evidenziate due date “cerchiate in rosso”: non prima del 5 marzo e non oltre il 20 marzo, con l’intenzione di accelerare i tempi rispetto alla prassi tradizionale. La motivazione ufficiale è politica: il governo mira a sfruttare il favore dell’opinione pubblica per il sì, mantenendo però una distanza di sicurezza dalle imminenti elezioni amministrative di primavera, che coinvolgono città come Venezia e Reggio Calabria. L’obiettivo è intercettare il voto centrista e parte del Partito Democratico, con alcune forze di maggioranza che si sono dette in disaccordo con la scelta.
Tuttavia, questa decisione si discosta dalla prassi costituzionale e dalla legge, che prevedono di attendere i tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale prima di indire il referendum. La normativa stabilisce che, entro tre mesi dalla pubblicazione, deve essere possibile per uno dei soggetti interessati chiedere la consultazione, e che questa deve essere indetta solo dopo che siano trascorsi i tempi necessari, a meno che non siano state rispettate tutte le condizioni di legge.
Nel caso del 2001, come ricostruiscono Stefano Ceccanti e Francesco Clementi nel libro “Le stagioni del referendum”, si preferì attendere l’intero arco temporale di tre mesi, per garantire la massima partecipazione e trasparenza. La scelta di anticipare i tempi, adottata dall’allora governo Amato, non era priva di conseguenze: il decreto di indizione della consultazione fu pubblicato in Gazzetta ufficiale il 7 maggio 2001, e la data del voto fissata per il 7 ottobre successivo.
Al momento, non risultano in corso raccolte ufficiali di firme tra i cittadini, anche se con la possibilità di raccogliere adesioni online i tempi si sono ridotti. Le opposizioni finora non hanno chiesto di attendere i tre mesi previsti, ma l’accelerazione potrebbe comunque essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale. In tal caso, la Consulta potrebbe sospendere o rinviare la data del voto, creando ulteriori incertezze sui tempi della consultazione.
Se si rispettassero tutte le procedure, con la pubblicazione della riforma avvenuta il 30 ottobre, i tempi di attesa arriverebbero a fine gennaio, lasciando poco spazio per la campagna referendaria, che richiede almeno 50-70 giorni. Di conseguenza, il voto potrebbe slittare tra fine marzo e inizio aprile, ben oltre le date attualmente indicate dal governo, con possibili ricorsi e impugnazioni che potrebbero modificare ulteriormente il calendario.

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