La tragedia ieri sulla provinciale 231. Sotto choc il conducente dell’auto, rimasto ferito nell’impatto e ora indagato per omicidio stradale plurimo: «Cosa ho combinato»
«Ci ha sfiorato, poi è rientrato e li ha presi in pieno. Andava a velocità sostenuta, probabilmente oltre 150 all’ora. Sono volati in aria. Noi siamo vivi solo perché eravamo più indietro». A parlare è uno dei due sopravvissuti al tragico incidente in cui ieri, nel Barese, sono morti i tre ciclisti Antonio Porro, Sandro Abruzzese e Vincenzo Mantovani. Il gruppo, originariamente di sei, si era mosso di buon mattino da Andria in direzione Bitonto, per poi tornare indietro e proseguire la domenica in famiglia. Uno di loro, dopo poco, aveva cambiato itinerario, mentre gli altri cinque avevano proseguito sulla provinciale 231, una strada a due corsie per senso di marcia che i ciclisti stavano percorrendo in fila indiana. I tre guidavano il gruppo, in due invece erano rimasti più indietro.
L’incidente e la chiamata al 118: «Ho investito dei ciclisti»
Intorno alle 8.30, all’altezza di Terlizzi (a 30 chilometri da Andria), una Lancia Delta nera guidata da un trentenne di Ruvo di Puglia è piombata sul gruppo, secondo quanto emerso finora ad alta velocità su una strada il cui limite massimo è 90 chilometri orari: i due in coda sono stati solo sfiorati, i tre davanti sono stati colpiti in pieno e sono morti sul colpo. L’automobilista, dopo aver frenato, è sceso dall’auto e ha chiamato i soccorsi: «Venite, ho investito dei ciclisti». «Cosa ho combinato, cosa ho combinato», ha poi urlato prima di buttarsi sull’asfalto, disperato. Trasportato in codice rosso al Policlinico di Bari — oltre che sotto choc, è anche rimasto ferito nell’impatto — è ora indagato per omicidio stradale plurimo. Le indagini dei carabinieri sono coordinate dalla Procura di Trani. Come comunicato dall’Asaps, l’Associazione sostenitori e amici della polizia stradale, con l’incidente di ieri sale a 130 il numero di ciclisti morti sulle strade italiane dall’inizio dell’anno.
L’imprenditore, l’assicuratore, il titolare di officina
I tre facevano parte del Ciclo Avis di Andria, il gruppo sportivo dei donatori di sangue. Antonio Porro, imprenditore di 70 anni, aveva co-fondato una torrefazione molto popolare in provincia ed era uno dei decani del ciclismo amatoriale andriese: «Era il nonno che tutti avrebbero voluto, ha insegnato a pedalare a generazioni intere di ciclisti di Andria, e non solo», racconta Giuseppe Muraglia, ex professionista andriese e responsabile del settore pista della Federciclismo pugliese. Abruzzese, 30 anni, lavorava dal 2015 come assicuratore in città. Mantovani, 50enne, aveva un’officina ed era quello che aveva iniziato a pedalare da meno tempo («circa sei anni», dice sempre Muraglia). Sposato, lascia due figlie.
Il presidente della Federciclismo, Cordiano Dagnoni, ha spiegato la federazione, «ha istituito un gruppo di lavoro sulla sicurezza che in pochi mesi ha elaborato una serie di proposte che è nostra ferma intenzione presentare in Parlamento. Credo sia arrivato il momento che tutti facciano la propria parte affinché questa strage si fermi».
fonte: CORRIERE DEL MEZZOGIORNO
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