La letteratura, da strumento di accrescimento culturale a merce del tempo libero

La letteratura che verrà

di Cosimo Rodia

La globalizzazione ha trasformato lentamente la letteratura in merce, assoggettandola alle regole di mercato. Da strumento di accrescimento culturale e di scandaglio della coscienza umana, la letteratura è diventata tendenzialmente una merce del tempo libero, sostenuta dalle dinamiche pubblicitarie, che ne enfatizzano il contenuto. E nella logica di mercato, tutti i prodotti promossi dalla pubblicità, vivono un arco temporale breve, fino a quando un altro battage pubblicitario non soppianti il vecchio con un nuovo prodotto.

È il mercato, così, che stabilisce cosa e quando leggere e, principalmente, quando smettere di leggere. La spinta pubblicitaria a far insorgere il bisogno di leggere, crea imperativi al consumo, disinteressandosi, contestualmente, della qualità del prodotto culturale, che può essere povero e non nutrire intellettualmente il consumatore; questa logica ha provocato a sua volta l’abbassamento progressivo del gusto e la banalizzazione del linguaggio.

La rivoluzione informatica ha inevitabilmente cambiato le modalità di avvicinarsi alla letteratura. Con la diffusione dell’informatica è aumentata la facilità di scrivere, la possibilità di pubblicare, si è diffusa la possibilità di leggere, originando naturalmente una sorta di inflazione dei prodotti letterari; gli oltre tre milioni di poeti in Italia, creano inevitabilmente un mare magnum di produzione, in cui separare il grano dal loglio diventa un’impresa titanica.

Inoltre, mentre sul web si diffonde la scrittura, la pubblicazione in cartaceo rimane in mano alle grandi case editrici, che possono contare sui mezzi pervasivi della TV e della pubblicità, con l’effetto di stabilire cosa leggere, cosa promuovere e come la letteratura si debba sostanziare (È emblematico come tutte le grandi antologie ‘nazionali’, richiamino poeti nati al di là della linea Gustav, considerando il Sud un deserto culturale); le grandi case editrici e i media sono capaci di creare un sogno permanente, a tempo determinato, fino al battesimo di un nuovo fenomeno. In questo agone, la critica si riduce a semplice riassunto, come serve al mercato, a scapito di una riflessione approfondita del prodotto letterario.

Una sorta di contraltare alla letteratura disegnata dai grandi editori e dai media, sembra siano stati i social, sui quali è esplosa l’autobiografia: ognuno parla di sé (lo fanno i 35 milioni di utenti di fb e i 20 milioni di instagram), facendo perdere, però, le coordinate autoriali.

Oltre alla sovrabbondanza della produzione e, quindi alla perdita conseguenziale di autorialità, va però riscontrato un aspetto positivo del web, ovvero la formidabile capacità di mettere in circolarità i dati utilizzabili per una indagine filologica; ad esempio, le biblioteche digitali mettono in rete vari titoli, con la possibilità di accesso alla ricerca e al prestito Opac;  oppure, grazie al web sono sopravvissute riviste letterarie, il cui costo in versione cartacea l’avrebbero fatte chiudere.

Sono esempi che mostrano come internet possa risolversi in un luogo d’incontro di idee, di approfondimenti e di riflessioni (quindi, non si butta il bambino con l’acqua sporca); naturalmente sono strumenti che vanno equilibrati nella loro funzione e nel loro utilizzo.

In questo sistema, anche la critica ha smesso di svolgere un’analisi ermeneutica seria, per ridursi a mero riassunto di un’opera, snaturando, naturalmente, la sua stessa funzione. La conseguenza è la perdita d’importanza della cultura umanistica e la dispersione della educazione alla lettura.

Con la letteratura ridotta a merce, il libro perde anche l’aura di testimoniare pensieri, stili, intrecci umani che stanno alla base della formazione; ha scritto Steiner, a proposito della forza della letteratura (o delle arti), che con ostinazione ci imbattiamo nel labirinto dei nostri affetti intimi (Come si legge un libro (e perché), 2000); ora, se letteratura perde il suo carattere precipuo, il grande patrimonio letterario sprofonda nel silenzio e vien meno anche la possibilità di leggerci come esseri umani integrali, aprendo le porte alla decadenza e all’analfabetismo di ritorno.

Perché difendere, dunque, la letteratura? Perché essa prepara la coscienza civile, ripropone la memoria storica e predispone il soggetto-lettore al senso di tolleranza; tre aspetti oscurati, allorquando la letteratura si lega alla logica degli spots e della pubblicità.

Come aveva preconizzato Marx, con la globalizzazione il capitale ha perso il controllo sui suoi stessi processi di produzione, che si muovono, motu proprio, sfuggendo controlli, all’interno di una logica di mercato, dove sono assenti gli aspetti di moralità e di umanità.

I contorni di questa trasformazione socio-culturale sono tendenzialmente rappresi nel post-moderno, che si configura come intreccio forte tra mercato e mass media, originando la logica del cosiddetto consumo per il consumo. In questa fase, il risultato è dettato, tendenzialmente, dalla superficialità, dalla ripetizione e dalla spazializzazione; e l’intellettuale assolve, dice Jameson, ad un ruolo di osservatore, a mappare lo stato dell’arte, rimanendo sul piano diagnostico e trascurando la funzione di interpretare, valutare, confrontare i testi (Le illusioni del postmodernismo, 1996).

 

Qual è l’antidoto? Intanto ogni risposta oppositiva è una battaglia impari, perché è insuperabile la forza pervasiva delle immagini e della pubblicità. Con questa consapevolezza, lo scrittore (come anche il critico) armato di motivazione deve essere capace di smontare il giocattolo creato dall’immagine-feticcio ed operare una sorta di smascheramento dell’oggetto promosso dal potere di vendita, affinché esso torni a raccontare un mondo scevro dai risultati di botteghino. In questa contrapposizione si gioca sia il futuro dell’intellettuale, dello scrittore, del critico e sia dell’umanità con la sua portata di umanesimo.

Ora, come deve essere la letteratura nel XXI secolo? È tutto ancora da scrivere, perché essa deve ancora acquisire i suoi caratteri peculiari; allora, la difesa neoumanistica dei grandi e vecchi valori, che hanno caratterizzato lo sviluppo dell’umanità, è necessaria proprio nell’attuale interregno, di transizione alla nuova civiltà.

Tutti i vecchi riferimenti del XX secolo, di valutazione dei risultati della letteratura o dei prodotti della letteratura, che passavano attraverso i filtri della semiotica, della psicanalisi, dell’analisi marxista possono ancora dare un contributo nel delineare la strada che la letteratura deve intraprendere nel XXI secolo.

Come identico al passato potrebbe essere il telos, il fine ultimo della letteratura, ovvero, quello di appassionare alla lettura, in un momento in cui il testo è spesso trascurato e la cui fruizione rimane nell’ambito dell’obbligo scolastico. È evidente che leggere costituisca fatica, allora bisogna che si risolva in una fatica piacevole; e perché ritorni il piacere, di per sé motivante, a leggere o a prendere autonomamente il libro (anziché guardare un film), potrebbe aiutare l’allenamento all’approccio analitico al libro, la frequentazione al lavoro interpretativo; lo sostiene il professor Francesco Muzzioli (Le teorie della critica letteraria, 2019), asserendo che l’entusiasmo più forte e durevole nella lettura passa attraverso una qualche forma di distanziamento critico; quindi, grazie alla familiarità con il lavoro interpretativo (di comprensione, analisi, inferenze….) può scattare il piacere di leggere, appassionandosi.

Un’ipotesi per ritornare ad una letteratura capace di rispondere alle istanze personali, umane, sociali, capace di addomesticare i problemi che condizionano la vita umana e a tracciare percorsi esistenziali da costituire esempi di esperienza di vita. Con questa finalità imparare a leggere significherà ancora investire in attenzione e concentrazione, per attraversare il testo, entrarci dentro, farlo proprio e, semmai, specchiarvisi. E se questa ipotesi avesse buon gioco, sarebbe una prima forte opposizione alla società liquida, che smemora e che umanamente isola (pur nell’illusione di sentirsi sempre e in ogni dove presente e protagonista).

 

fonte: Interzona

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