L’Enigma dell’Albania caucasica e le chiese cristiane in territorio Azerbaigiano

Il monastero di Gandzasar

di Farid Shafiyev

L’interesse verso l’Albania caucasica e la politicizzazione della sua storia sono cresciuti rapidamente a partire dall’ultimo conflitto tra Armenia e Azerbaigian.

L’Albania caucasica fu uno Stato antico, conosciuto come Agvank o Aluank nei documenti storici, esistito nel territorio del Caucaso meridionale tra il terzo ed il settimo secolo. Secondo fonti antiche come Strabo, l’Albania caucasica sarebbe stata un conglomerato di ventisei tribù, tra le quali gli Udi, un gruppo etnico che, sopravvissuto, oggi risiede nella repubblica dell’Azerbaigian ed è composto da poche migliaia di persone che professano il cristianesimo.

Il recente interesse nei confronti dell’Albania caucasica è scaturito dalla questione delle chiese cristiane sul territorio dell’Azerbaigian. Sfortunatamente, alcuni esperti occidentali hanno prodotto dei giudizi superficiali, nello specifico dipingendo la principale teoria azerbaigiana sull’Albania caucasica come fasulla o pseudoscientifica. Questi esperti, però, non possiedono alcuna conoscenza specifica sulla storia dell’Albania caucasica, che richiede la padronanza dell’armeno, dell’arabo e persino dell’oggi estinto albanico (l’Udi moderno è la lingua che più gli si avvicina), e a volte non hanno neppure un dottorato in storia.

Tom de Waal, l’autore di Black Garden, sul conflitto tra Armenia e Azerbaigian, ha dichiarato che “nessuno crede alla teoria dell’Albania caucasica al di fuori dell’Azerbaigian”. In precedenza, de Waal aveva attaccato l’accademico azerbaigiano Ziya Buniyadov, l’autore della teoria azerbaigiana sull’Albania caucasica. Buniyadov fu un pioniere che non soltanto aprì un nuovo capitolo nella storia dell’Albania caucasica, ma che si imbarcò nella traduzione del Corano in lingua azerbaigiana e che fu assassinato da fondamentalisti islamici presumibilmente addestratisi in Iran.

Laurence Broers, nel suo libro Anatomy of Rivalry, ha trattato i dati storici più prudentemente ma, alla fine, si è disfatta della versione azerbaigiana. Il problema con una tale descrizione è che soltanto un pugno di esperti in Occidente conosce la storia dell’Albania caucasica, mentre il resto, principalmente, ricicla o ripete gli argomenti di accademici dell’Armenia o di origine armena.

Per i nazionalisti armeni, la teoria sull’Albania caucasica è assolutamente inaccettabile, dato che distrugge l’edificio costruito negli ultimi trecento anni sulla cosiddetta “Grande Armenia”, che, secondo loro, avrebbe incluso il Karabakh ed altri territori nel Caucaso meridionale, sovrapponendosi all’Albania caucasica. Nella versione armena, l’Albania caucasica fu una propaggine statuale cristiana dello Stato armeno da una prospettiva sia politica sia religiosa. Spesso, gli accademici armeni guardano alle chiese armene come ad una prova della loro presenza storica.

Gli accademici statunitensi Gerard Toal e John Loughlin, a proposito del punto di cui sopra, hanno evidenziato come la Chiesa armena abbia [lasciato] un’impronta lunga e complessa lungo Medio Oriente, Anatolia e Caucaso: chiese, tombe e pietre religiose vengono innalzate a prove di un originario possesso esercitato su territori contesi e come basi per avanzare rivendicazioni su terre che, altrimenti, non potrebbero entrare all’interno di una disputa. Tali discorsi cercano di idealizzare il territorio in termini di spazio sacro, sacro non tanto per il semplice significato religioso, quanto, più in esteso, per il suo essere un antico patrimonio della moderna nazione.

Gli storici azerbaigiani – dopo Ziya Buniyadov, l’autore più prolifico è Farida Mamedova, sua ex studente – ritengono che l’Albania caucasica fosse uno Stato indipendente e rivale dell’Armenia. La mia opinione è che entrambe le teorie sono state politicizzate a causa dell’attuale conflitto.

Gli storici azerbaigiani, che spesso scrivono di argomenti relativi al conflitto, indulgono nel linguaggio emotivo, tra l’altro presente tra gli omologhi armeni, ma assente tra gli accademici della diaspora formatisi in Occidente. Questo, di fianco ad altri fattori geopolitici e religiosi, facilita l’influenza armena sulla comunità di esperti occidentale. Inoltre, molti studi in Occidente [sull’Albania caucasica] sono stati sponsorizzati dai gruppi della diaspora armena, come la Fondazione Tavitian, che finanzia un Carnegie Endowment ed è nota per le sue posizioni antiazerbaigiane.

Di contro, dal lato azerbaigiano, la ricerca è principalmente un’attività finanziata dallo Stato, una cosa percepita negativamente dagli studiosi occidentali. Negli Stati Uniti ci sono circa ventidue comitati di studio armeni, ma nessuno per l’Azerbaigian. E il patrocinio da parte del governo dell’Azerbaigian viene fatto oggetto di ostracismo, come accaduto di recente in Germania. L’ironia sta nel fatto che molte fondazioni tedesche sono largamente sostenute dallo Stato, come ad esempio la Fondazione Heinrich Böll, il cui direttore a Tbilisi, Stephan Meister, ha auspicato che venga tagliato ogni contatto accademico con l’Azerbaigian. Le posizioni antiazerbaigiane di molti studiosi occidentali possono essere in parte spiegate attraverso le percezioni critiche dei loro attuali governi, i quali sono parzialmente influenzati da sentimenti orientalisti alla Said, turcofobici e islamofobici.

Un altro problema è che la storia dell’Albania caucasica continua ad essere studiata principalmente attraverso fonti armene, dato che i testi in alfabeto albanico sono scomparsi completamente per molti secoli e sono stati riscoperti soltanto di recente, sul monastero del monte Sinai in Egitto, dall’accademico georgiano Zaza Alexidze. In effetti, è abbastanza strano che i testi religiosi albanici non siano sopravvissuti nel Caucaso meridionale, specie se si considera che, per via dell’editto dello zar di Russia del 1836, il catolicosato albanico indipendente, con centro a Gandzasar (Karabakh), fu abolito e pienamente subordinato a quello armeno di Echmiadzin. Qui giace la confluenza di storia, religione, dramma e complotto.

Come già menzionato, l’Albania caucasica ha cessato di esistere come entità indipendente nel settimo secolo, quando è caduta sotto il califfato arabo. Dopo la conquista araba, la maggioranza della popolazione albanica si convertì all’islam. Coloro che continuarono ad aderire al cristianesimo, invece, entrarono gradualmente in sinergia con la Chiesa armena. Quest’ultima avrebbe cercato di porre sotto il proprio completo controllo la Chiesa albanica e, secondo gli storici azerbaigiani, avrebbe distrutto molti documenti storici, forgiandone altri, nel tentativo di cancellare ogni traccia di un’Albania indipendente.

Sono i palinsesti albanici a palesare l’evidenza della cancellazione e della riscrittura dei testi religiosi. Questa non è teoria del complotto, ma un fatto provato, anche perché i palinsesti albanici sono stati studiati da vari accademici, tra i quali Alexidze, Jost Gippert, Wolfgang Schulze e Timur Maisak. Questo è quanto ha notato Maisak:

“Il culto nelle chiese albaniche fu completamente trasmutato in lingua armena, e l’utilizzo dei libri liturgici non armeni venne soppresso. I libri in albanico caucasico cessarono di essere trascritti, la lingua stessa fu dimenticata, e i manoscritti creati tra il quinto e il settimo secolo vennero distrutti o manipolati, mentre i testi sulle loro pagine furono lavati via per poter nuovamente scrivere su di loro in altre lingue”.

Lo studioso armeno Joseph Orbeli, nella sua ricerca effettuata tra il 1909 e il 1919, ha fatto menzione alle iscrizioni albaniche nel monastero di Gandzasar, che sono scomparse nel corso della storia. Sembra che i cristiani albanici residenti nel califfato arabo avessero delle strette interazioni con gli armeni cristiani, ma che avrebbero cercato di mantenere la loro indipendenza. E l’indipendenza del catolicosato albanico di Ganzdasar, sito nella regione del Karabakh dell’Azerbaigian, trova riscontro in molte fonti medievali. Nonostante ciò, con il passare dei secoli, molti albanici vennero progressivamente armenizzati.

Anche lo studioso statunitense di origine armena, Ronald Suny, ha manifestato supporto all’opinione secondo la quale “gli albanici nell’area montagnosa del Karabakh, fino all’Armenia storica, rimasero largamente cristiani ed eventualmente si fusero con gli armeni”. Persino i decisori politici dell’impero russo erano a conoscenza dell’esistenza dell’Albania: il principe Grigory Potemkin (1739-1791), nel suo Piano per l’Oriente, immaginava di trasformare Armenia e Albania in due stati vassalli separati – su questo argomento vedasi Empire by Invitation di Sean Pollock.

In definitiva, la situazione complessiva concernente il patrimonio religioso dell’Albania caucasica dovrebbe essere trattata da storici di professione, in possesso di conoscenze linguistiche rilevanti e di qualificazioni accademiche. E, peraltro, questo argomento dovrebbe essere svincolato dagli attacchi feroci dei nazionalisti di ogni sorta.

 

fonte: InsiderOver

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