Liturgia della XV Domenica del Tempo Ordinario – Il seminatore uscì a seminare. (Anno A )

Commento alle Letture tratto dal MESSALE DELL’ASSEMBLEA CRISTIANA – FESTIVO opera del CENTRO CATECHISTICO SALESIANO Leumann (Torino) Editori ELLE DI CI – ESPERIENZE – EDIZIONI O.R. – QUERINIANA

LETTURE: Is 55,10-11; Sal 64; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23

La Parola

«Hanno la bocca e non parlano » (Sal 1 13B,5). Questa satira degli « idoli muti» sottolinea per contrasto uno dei tratti più caratteristici del Dio vivente. Egli parla agli uomini. Si rivela non soltanto nel linguaggio silenzioso della natura e dei segni creaturali; egli «parla» con i suoi interventi storici di salvezza e di misericordia, di richiamo e di castigo. Egli parla nell’Antico Testamento attraverso i profeti, suoi privilegiati mediatori e quasi suoi porta-parola. Parla loro in sogni e visioni (Nm 16,6); si rivela nelle ispirazioni personali (2 Re 3,15); a Mosè parla « bocca a bocca » (Nm 12,8).

Parola che è esperienza di vita
Nell’Antico Testamento la parola di Dio è anzitutto un fatto, una esperienza: Dio parla direttamente a uomini privilegiati e per mezzo loro a tutto il suo popolo. La centralità della parola di Dio nell’Antico Testamento prepara il fatto sconvolgente del Nuovo Testamento, dove questa parola — il Verbo — diventa carne. Le letture di oggi ci invitano ad approfondire in maniera unitaria il tema della parola. Nella storia della Chiesa le epoche di «aggiornamento» hanno sempre portato ad una restaurazione dell’ascolto e del confronto con la parola di Dio. E quello che sta avvenendo oggi. Lo prova il fervore di studi provocati dal Concilio e lo conferma la riforma liturgica che si sforza di ridare alla celebrazione della parola il posto che le compete.
Anche oggi, come al tempo di Gesù, è la parola che convoca e raduna la Chiesa attorno al Padre, ed è nell’approfondimento della parola che i cristiani prendono coscienza di essere famiglia di Dio, suo nuovo popolo di salvati. E ancora l’atteggiamento nei confronti della parola (di indifferenza, di rifiuto, di trascuratezza, o di accoglienza) che definisce la nostra posizione nel regno di Dio (vangelo).

Indifferenza e non-ascolto della parola
All’atteggiamento di non-ascolto o di rigetto della parola di Dio ai tempi di Gesù, fa riscontro ai nostri giorni un atteggiamento di indifferenza e di non-comprensione della parola da parte dell’uomo moderno. A volte i pastori, i predicatori e i missionari hanno l’impressione di parlare una lingua straniera all’uomo d’oggi.
I cristiani stessi hanno la sensazione che c’è una specie di divario tra la loro vita di tutti i giorni e la parola che viene loro annunciata nell’assemblea eucaristica; sembra troppo legata ad altri tempi, appare statica e senza impatto sulla vita reale. E la parola di Dio che viene messa in causa? o è soltanto l’incontro con il mondo e l’uomo moderno che non ha ancora trovato la giusta lunghezza d’onda?
Nel corso dei secoli del cristianesimo, la teologia della parola ha messo l’accento quasi esclusivamente sulla proclamazione della parola. La parola era oggetto di una predicazione: un «dato» che deve essere consegnato fedelmente, trasmesso come un deposito prezioso. La vita del cristiano, la sua esperienza quotidiana era vista solo come un terreno in cui la parola veniva messa in pratica. La esperienza, la vita, l’esistenza concreta non erano viste come «parlanti», e neppure come rivelatrici di nuovi aspetti e significati della parola. Dio parlava soltanto là dove la parola era proclamata, là dove le Scritture erano lette e commentate.

L’evento come parola
Da qualche tempo si sta verificando una svolta nella considerazione e nella comprensione della parola di Dio. Si riscopre che il Dio della fede parla innanzi tutto nell’evento, cioè attraverso la storia, la vita vissuta del popolo di Dio, imbarcato nell’unica avventura degli uomini. Nella prassi pastorale e soprattutto nella catechesi l’esperienza dell’uomo viene assunta sempre più completamente, non solo come espediente didattico o come aggancio psicologico, ma veramente come il luogo privilegiato dove la parola di Dio si manifesta in tutta la sua ricchezza e potenza.
Ad una catechesi intesa come un parlare di Dio e un ascoltare dell’uomo, viene gradualmente sostituendosi una catechesi più incarnata nelle situazioni, più attenta ai problemi dell’uomo, cioè più « antropologica », che potremmo esprimere nel modo seguente: L’uomo interroga e Dio risponde. Capita cioè un rovesciamento di prospettive, a tutto favore di una più profonda comprensione della parola di Dio.
Il messaggio deve illuminare l’esistenza. L’esperienza non viene messa a servizio dei messaggio per illustrano, ma è il messaggio piuttosto che viene utilizzato per conferire all’esistenza tutta la significazione che ha nella fede. Solo così la parola è veramente annunciata, perché solo così risuona nel profondo dell’esperienza dell’uomo d’oggi.

Catechesi dei riti pre-battesimali

Inizio del trattato «Sui misteri» di sant’Ambrogio, vescovo
(Nn. 1-7; SC 25 bis, 156-158)

Ogni giorno abbiamo tenuto un discorso su temi morali mentre si leggevano o le gesta dei patriarchi o gli insegnamenti dei Proverbi, perché, modellati e ammaestrati da essi, vi abituaste a entrare nelle vie degli antichi, a percorrere la loro strada e a obbedire agli oracoli divini, cosicché rinnovati dal battesimo teneste quella condotta che si addice ai battezzati.
Ora è venuto il tempo di parlare dei misteri e di spiegare la natura dei sacramenti. Se lo avessi fatto prima del battesimo ai non iniziati, avrei piuttosto tradito che spiegato questa dottrina. C’è anche da aggiungere che la luce dei misteri riesce più penetrante se colpisce di sorpresa, anziché arrivare dopo le prime avvisaglie di qualche sommaria trattazione previa.
Aprite dunque gli orecchi e gustate le armonie della vita eterna infuse in voi dal dono dei sacramenti. Ve lo abbiamo significato, quando celebrando il mistero dell’apertura degli orecchi vi dicevamo: «Effatà, cioè: Apriti!» (Mc 7, 34), perché ciascuno di voi, che stava per accostarsi alla grazia, capisse su che cosa sarebbe stato interrogato e si ricordasse che cosa dovesse rispondere. Cristo, nel vangelo, come leggiamo, ha celebrato questo mistero quando ha curato il sordomuto.
Successivamente ti è stato spalancato il Santo dei Santi, sei entrato nel sacrario della rigenerazione. Ricorda ciò che ti è stato domandato, rifletti su ciò che hai riposto. Hai rinunziato al diavolo e alle sue opere, al mondo, alla sua dissolutezza e ai suoi piaceri. La tua parola è custodita non in una tomba di morti, bensì nel libro dei viventi. Presso il fonte tu hai visto il levita, hai visto il sacerdote, hai visto il sommo sacerdote. Non badare all’esterno della persona, ma al carisma del ministero sacro. E’ alla presenza di angeli che tu hai parlato, com’è scritto: Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è l’angelo del Signore degli eserciti (cfr. Ml 2, 7). Non si può sbagliare, non si può negare. E’ un angelo colui che annunzia il regno di Cristo, colui che annunzia la vita eterna. Devi giudicarlo non dall’apparenza, ma dalla funzione. Rifletti a ciò che ti ha dato, pondera l’importanza del suo compito, riconosci che cosa egli fa.
Entrato dunque per vedere il tuo avversario, al quale si suppone che tu abbia rinunziato con la bocca, ti volgi verso l’oriente: perché chi rinunzia al diavolo si rivolge verso Cristo, lo guarda diritto in faccia.

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