Martiri dell’accoglienza

A Casamari la beatificazione di sei cistercensi

di Pierdomenico Volpi
Postulatore generale dell’ordine Cistercense

Il martirio ha una connotazione precisa, come si legge nel Catechismo della Chiesa cattolica: «Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede, il martire è un testimone che arriva fino alla morte».

Si possono inserire in questa testimonianza anche i sei religiosi di Casamari: Simeone, Domenico, Albertino, Modesto, Zosimo e Maturino, che sabato mattina, 17 aprile, vengono beatificati nell’abbazia laziale cistercense, dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Francesco. Come per ogni santo, la Provvidenza “gioca di invenzione: non vuole coniarli tutti con il medesimo conio. Essi hanno delle particolarità, tra cui quella di essere martiri prima di versare il sangue.

Molti monaci di Casamari, saputo delle violenze dell’esercito francese in ritirata da Napoli nelle città vicine, lasciarono il monastero. Solo i sei religiosi rimasero, coscienti del rischio, ed accolsero benevolmente il gruppo di soldati il 13 maggio 1799. Vengono in mente le parole udite da padre Simeone qualche tempo prima dal Crocifisso: «Simeone, non è finita la croce, ma vi è un’altra croce da passare; ma poi verrai con me a godere». Le testimonianze attestano che riferì le parole ad altri monaci, quindi essi furono già «martiri nell’attesa».

Questi religiosi avevano valide motivazioni per lasciare il monastero: tra loro, un monaco che non aveva giurato sulla Costituzione francese (padre Simeone M. Cardon), un disertore dell’esercito repubblicano francese (fra Maturino M. Pitri), un monaco boemo appartenente all’Impero austriaco, acerrimo nemico della Repubblica francese (padre Domenico M. Zavřel), un religioso dell’abbazia di Sept-fons rifugiato a Casamari (fra Modesto M. Burgen), un altro religioso francese che non aveva potuto vivere la propria vocazione in Francia (fra Albertino M. Maisonade), per ultimo, un giovane religioso di Milano (fra Zosimo M. Brambat).

Essi non ebbero nemmeno la “gioia” di vivere il martirio. I martiri vedono nelle sofferenze la possibilità di versare il sangue per Cristo, di assomigliarli nella morte: nei sei religiosi di Casamari non ci fu niente di questo, ma solo incertezza, spavento e dolore; accolsero benevolmente il gruppo di soldati francesi, li rifocillarono e furono uccisi, come veri «martiri dell’accoglienza», vissuti e morti nella semplicità. Padre Simeone e i suoi compagni furono «segno vivente della presenza di Dio». Tutti avevano seguito il Signore alla scuola di san Benedetto nella via cistercense. Padre Simeone aveva lasciato la Francia perché non poteva vivere totalmente la sua vocazione di monaco e aveva affrontato i nemici della fede cattolica. Padre Domenico aveva abbandonato sia la sua patria che l’ordine Domenicano per vivere con più risolutezza la sua chiamata alla santità. Segno della presenza di Dio è anche l’oblato fra Maturino che, guarito da un grave male, si era allontanato dall’esercito francese per dedicare la vita a Dio. Non ci sono dubbi che tutti i martiri di Casamari, avendo scelto di consacrarsi al Signore secondo la Regola benedettina, erano già segno eloquente della presenza di Dio e il martirio un completamento generoso della loro consacrazione.

I martiri di Casamari furono anche «segno per la vita eterna». Significative le parole che padre Simeone, prima di morire, disse ai soccorritori: «Quando presi quest’abito ho rinunziato all’aiuto degli uomini. Sottomesso a Dio solo, non farò nulla per abbreviare la mia vita né per prolungarla». Anche fra Zosimo fu segno denso di significato riguardo la vita eterna: ferito mortalmente, riuscì a nascondersi per tre giorni per poi incamminarsi alla volta di Boville Ernica, alla ricerca di un sacerdote che potesse amministragli gli ultimi sacramenti. Dovette, però, fermarsi per via e, assistito da contadini, morì.

Come testimoni di vita monastica, e poi versando il loro sangue, i nostri martiri sono oggi «seme che ha prodotto frutto efficace». Dopo il martirio numerosi fedeli accorsero presso la tomba e parecchi ottennero grazie. Era così numeroso l’afflusso che il superiore del tempo impose loro, in virtù del voto di obbedienza, di non concedere più favori per la loro intercessione. Oggi sono significative le testimonianze dei fedeli nel libro/ricordo vicino alla tomba: «Cari confratelli martiri, oggi parlavamo di voi desiderando la vostra canonizzazione. Ora nel silenzio di pace del vostro sepolcro, una sola frase mi sgorga dal cuore: “Tutto è compiuto”. Capisco che desidero ciò che è già stato, ed è. Vi prego intercedete per la vostra comunità, per questa contrada, per la diocesi, la Chiesa tutta». In ultimo, sono «segno di contraddizione». Il martire è testimone di Cristo luce del mondo ma il mondo sceglie le tenebre, preferendo la menzogna alla verità. «In Occidente ormai si preferisce spesso una visibilità tranquilla sui mass media, si offre un cristianesimo dolciastro e smussato che non ha il coraggio di dire l’evangelico “sì, sì; no, no”. Per questo gli stessi cristiani, per non andare “troppo” contro la mentalità corrente, preferiscono ignorare l’esistenza dei martiri». I martiri di Casamari ripetono, in contraddizione con il mondo, che la via mondana non è la via del Signore; Gesù Cristo lo afferma chiaramente quando proclama beati i perseguitati. Benedetto xvi scriveva: «Anche questo xxi secolo si è aperto nel segno del martirio. Quando i cristiani sono veramente lievito, luce e sale della terra, diventano anche loro, come avvenne per Gesù, oggetto di persecuzioni»; come lui sono “segno di contraddizione”. La convivenza fraterna, la fede, le scelte in favore dei più piccoli e poveri, che segnano l’esistenza della Comunità cristiana, suscitano talvolta un’avversione violenta».

I nostri martiri hanno accettato l’odio del mondo perché sapevano che tale odio era dovuto alla loro fede. Di alcuni di loro conosciamo solo il nome e qualche breve notizia, ma come è stato detto: «I martiri brillano come stelle, la loro testimonianza è forte, incoraggiante e diventa suprema testimonianza d’amore».

 

fonte: L’Osservatore Romano

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