Il premier israeliano è salito sul podio davanti all’Assemblea Generale e ha ribadito che lo Stato ebraico non si fermerà. L’avvertimento all’Iran e il sogno di un Medio Oriente colosso globale
di Cecilia Scaldaferri
AGI – Accompagnato dal fragore della guerra a Gaza e dalle polemiche per il rifiuto della proposta di tregua con Hezbollah avanzata da Usa e Francia, il premier israeliano Benjamin Netanyahu è salito sul podio davanti all’Assemblea Generale dell’Onu e ha ribadito che lo Stato ebraico non si fermerà fino a quando non avrà raggiunto una “vittoria totale”.
Ad ascoltarlo, un uditorio ridotto: molti delegati si sono alzati e hanno lasciato la plenaria in segno di protesta. “Non avevo intenzione di venire qui quest’anno. Il mio Paese è in guerra, sta lottando per sopravvivere. Ma dopo aver sentito le bugie e le calunnie rivolte al mio Paese da molte persone su questo podio, ho deciso di venire qui e di mettere le cose a posto”, ha esordito il premier.
La minaccia iraniana
Al centro del suo discorso, l’Iran e la minaccia che rappresenta, non solo per Israele ma per tutto il mondo civilizzato. E ai “tiranni” di Teheran ha rivolto un avvertimento chiaro: “Se ci colpite, vi colpiremo. Non c’è un posto in Iran che non possiamo raggiungere. E questo vale per l’intero Medio Oriente”. Come ha già fatto più volte, il leader israeliano ha mostrato due mappe della regione, per distinguere la “benedizione” – rappresentata dai Paesi che hanno accordi con lo Stato ebraico, compresa parte del Golfo dopo gli Accordi di Abramo, in un “ponte” che arriva fino all’India – e la “maledizione”, che racchiude la Repubblica islamica e i suoi alleati dell”asse della resistenza’.
Tra questi, Hamas ed Hezbollah, “assassini selvaggi” dai quali Israele si deve difendere. “Per troppo tempo il mondo ha chiuso gli occhi sull’Iran. Questo ‘appeasement’ deve finire e deve finire ora”, ha affermato Netanyahu, esortando “il mondo a unirsi a Israele per fermare il programma nucleare” di Teheran. Ha poi ricordato il massacro del 7 ottobre, le atrocità di Hamas e le oltre 250 persone rapite e trascinate a Gaza. Nel futuro della Striscia “non c’è posto per Hamas: non vogliamo rioccupare Gaza ma vogliamo una Gaza demilitarizzata e deradicalizzata”. “La guerra può finire oggi, Hamas deve arrendersi, abbassare le armi e lasciare andare gli ostaggi. Se non lo farà, continueremo fino alla vittoria totale”, ha tuonato Netanyahu, lanciando un appello per la liberazione di tutti i rapiti. “Non ci fermeremo finché gli ostaggi rimasti non saranno riportati a casa”, ha assicurato, presentando alcuni dei loro familiari presenti nell’aula.
Quanto a Hezbollah, nessuna tregua neanche sul fronte nord: “Israele continuerà a colpire finché non saranno raggiunti tutti gli obiettivi”. “Per 18 anni Hezbollah si è rifiutato sfacciatamente di attuare la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell’Onu”, ha affermato il capo di governo, sottolineando che il gruppo filo-iraniano ha spostato le sue forze proprio al confine con Israele invece di lasciare il Libano meridionale come previsto. “Non ci fermeremo finché i nostri cittadini non torneranno sani e salvi alle loro case. Finché Hezbollah sceglierà la via della guerra”, Israele avrà tutto il diritto di agire e difendersi, ha aggiunto.
Il Medio Oriente colosso globale
Netanyahu è poi tornato a immaginare la regione trasformata grazie a un accordo di pace tra Israele e Arabia Saudita. “Sarebbe una benedizione, trasformerebbe il Medio Oriente in un colosso globale” e sarebbe “un vero pivot della storia”, una “riconciliazione storica… tra Islam ed Ebraismo, tra la Mecca e Gerusalemme”, ha sottolineato, sostenendo che un simile passo era vicino poco prima che Hamas sferrasse il suo mortale attacco del 7 ottobre. Il leader israeliano è arrivato a New York ieri pomeriggio tra i forti malumori suscitati alla Casa Bianca dalla sua marcia indietro sulla proposta di tregua con Hezbollah presentata da Usa e Francia. Come ha sottolineato la portavoce del presidente Joe Biden, Karine Jean-Pierre, il piano era stato “coordinato” con Netanyahu che tuttavia, una volta divenuto pubblico, ne ha preso le distanze, rifiutandolo, sotto le pressioni dell’estrema destra alleata di governo.
La mossa del premier ha indispettito e frustrato l’amministrazione Biden: gli Stati Uniti “avevano tutte le ragioni per credere che gli israeliani fossero pienamente informati e pienamente consapevoli di ogni parola” della dichiarazione. “Non lo avremmo fatto se non avessimo creduto che sarebbe stata accolta con la serietà con cui è stata composta”, ha affermato il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale, John Kirby. Netanyahu ha tentato di correre ai ripari stamane, con una nota per “chiarire alcuni punti” dopo le “molte false dichiarazioni sull’iniziativa di cessate il fuoco guidata dagli Stati Uniti”. L’ufficio del premier ha ammesso che Washington aveva “condiviso con Israele l’intenzione di presentare, insieme ad altri partner internazionali e regionali, una proposta di cessate il fuoco in Libano”.
“Israele condivide gli obiettivi dell’iniziativa” e “apprezza gli sforzi degli Stati Uniti in questo senso perché il ruolo Usa è indispensabile per promuovere la stabilità e la sicurezza nella regione”, si legge nella dichiarazione. Per l’amministrazione Biden – ha riferito un funzionario Usa al giornalista Barak Ravid – si tratta di un implicito riconoscimento dello scenario evocato da Washington, la quale vede la dichiarazione del premier come un “non rifiuto” dell’iniziativa a guida Usa.
Libano ancora sotto attacco
Intanto, proseguono i bombardamenti israeliani sul Libano così come il lancio di razzi di Hezbollah sul nord dello Stato ebraico. Nel mirino del gruppo sciita anche Tiberiade, dove un 25enne è rimasto moderatamente ferito. Nella notte le forze armate israeliane hanno intercettato e distrutto, fuori dallo spazio aereo nazionale, un missile balistico sparato dallo Yemen verso Tel Aviv.
Il lancio è stato rivendicato dagli Houthi. “Continueremo le operazioni militari nei prossimi giorni finché non cesserà l’aggressione israeliana a Gaza e in Libano”, ha affermato il portavoce Yahya Saree. Secondo un funzionario dei ribelli yemeniti filo-iraniani, si è trattato di una ritorsione per l’uccisione ieri del comandante dell’unita’ droni di Hezbollah, Mohammed Srur, tra i vari consiglieri di alto livello inviati in Yemen per addestrare gli Houthi.
Caccia israeliani hanno continuato a colpire nella valle della Beqaa, vicino alla città di Sidone e nel sud del Paese e nuovi attacchi sono stati lanciati poco dopo le parole pronunciate da Netanyahu a New York.
Il ministro della Salute libanese Firass Abiad ha riferito che 25 persone sono state uccise nei raid a partire dalle prime ore di oggi. Tra queste, un’intera famiglia di 9 persone, tutte morte nell’attacco contro la casa in cui vivevano a Chebaa, nel sud del Paese dei Cedri. Vittime anche in Siria, dove l’agenzia di stampa Sana ha riportato la morte di cinque soldati siriani in un raid israeliano vicino al confine con il Libano. Per il coordinatore umanitario Onu in Libano, Imran Riza, l’escalation degli attacchi israeliani è “catastrofica”, e il Paese sta affrontando il suo periodo “più mortale da una generazione. E molti esprimono il timore che questo sia solo l’inizio”.
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