Sanremo 2021. La corona di spine, le derisioni… il vescovo: insulsaggini e volgarità

Le parole di monsignor Suetta. La critica del cappellano del Festival don Pasquale Traetta per la scena con Fiorello che indossava un simbolo della Passione di Cristo: mancanza di rispetto

di Massimiliano Castellani, inviato a Sanremo domenica 7 marzo 2021

«Va bene tutto, però quella corona di spine Fiorello e Achille Lauro se la potevano risparmiare… Per noi cristiani, specie ora che è tempo di Quaresima, quella corona di Gesù ha un significato spirituale importante che non può diventare un momento di banalissimo spettacolo… Appena li incontro glielo dirò». È l’osservazione di don Pasquale Traetta, per gli artisti e gli addetti ai lavori semplicemente “don Ariston”.

Il vescovo di San Remo-Ventimiglia, monsignor Antonio Suetta, ha dal canto suo confermato di aver ricevuto “tante segnalazioni di giusto sdegno e di proteste riguardo alle ricorrenti occasioni di mancanza di rispetto, di derisione e di manifestazioni blasfeme nei confronti della fede cristiana, della Chiesa cattolica e dei credenti, esibite in forme volgari e offensive” nel corso del Festival.

Così, sulla spinta delle segnalazioni, il presule esprime “riprovazione e dispiacere“, ma in ogni caso vuole confortare la fede “dei piccoli” e “dare voce a tutte le persone credenti e non credenti offese da simili insulsaggini e volgarità”. QUI IL TESTO COMPLETO

Quanto al premio Città di Sanremo, attribuito dal sindaco a Fiorello, «trovo che non rappresenti gran parte di cittadinanza legata alla fede e dico semplicemente non in mio nome».

Con il vescovo si schiera la rete di associazioni Polis Pro Persona: monsignor Suetta «ha dato voce al sentimento di dolore di tanti, credenti e non credenti, per lo svilimento di simboli cristiani e per l’ostentata reiterazione di messaggi che contrastano con il rispetto di tutte le posizioni culturali. Con buona pace del servizio pubblico».

I ricordi del cappellano del Festival

Lo storico cappellano del Festival, don Pasquale Traetta, dopo ventidue edizioni, causa Covid è stato costretto, «con grande dispiacere» a disertare Sanremo 2021.

Così, lo rintracciamo a Montecarlo dove è stato chiamato dall’arcivescovo del Principato per compiere la sua attività pastorale nella diocesi monegasca.

Prima assenza dal 1998, quando il vescovo di San Remo-Ventimiglia monsignor Giacomo Barabino gli disse: «Don Pasquale tra sette giorni comincia il Festival, vai!». E lui obbedì.

E mentre durante l’anno si divideva tra la parrocchie di Coldirodi («sono stato lì 25 anni») e quelle valligiane, che snocciola come un rap: «Trucco, Airole, Olivetta, Colabassa e Fanghetto asso pigliatutto!», il mese del Festival di Sanremo per don Pasquale è sempre stato sacro, e dalla parte degli artisti.

«Dal mitico Baudo, insostituibile, fino ad Amadeus e Fiorello ho conosciuto tutti i conduttori e so quanto sia difficile quel ruolo. Così come ho toccato con mano la necessità degli artisti di confessarsi e l’urgenza di venire a cercare una figura come la mia». La tunica di don Pasquale, senza pass, si è aggirata dietro le quinte, intercettando gli umori, le paure e le gioie di questi personaggi dell’arte varia, e non solo. «Ebbi un confronto molto toccante con il rapper americano Eminem che arrivò sul palco sanremese da scomunicato. Mi colpì invece la sua voglia di confrontarsi: con Eminem pochi di “confessioni” con l’interprete che mi traduceva i pensieri di questo rapper che altro non è se non la voce del disagio dei ghetti americani.

La stessa bella sensazione la provai con Russel Crowe, un dialogo lunghissimo. E poi ricordo l’incontro fortuito ma molto emozionante con l’ex presidente russo Gorbaciov che accertatosi che fossi un prete vero lasciando l’Ariston (ospite del Festival di Fabio Fazio) mi chiese la benedizione e alla fine ci abbracciammo».

In questo Festival cominciato con il segno della croce di Amadeus e finito con le banali dissacrazioni del duo Achille Lauro e Fiorello (il “quadro” con la corona di spine), don Pasquale ha benedetto tutti a distanza.

Ma è sempre rimasto vicino al popolo di quel palcoscenico che «è da sempre lo specchio del Paese. Purtroppo ora viviamo in un tempo malato e confuso, un miscuglio di niente esteriore che ha generato solitudine e indifferenza. L’anima c’è, ma non è più educata ai valori. Si portano in scena stereotipi, come il bacio sul palco per combattere l’omofobia… È uno spiumamento che piuma dopo piuma lascia l’uomo nudo davanti a una realtà in cui anche la musica invece potrebbe unire e far riflettere le coscienze».

Don Pasquale sta per assistere alla sua prima serata finale di Sanremo davanti alla tv, e confessa con un pizzico di nostalgia: «Mi ha appena chiamato una persona che salirà sul palco… Mi ha detto: don Pasquale, un Festival senza un padre come lei è un Festival senz’anima. Questo mi ha riempito di gioia e mi fa ben sperare per il 2022».

fonte: Avvenire

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