Taranto, «Amianto, nessun reato dei vertici della Marina»

Nuova richiesta di archiviazione del pm sul caso Vittorio Veneto

di FRANCESCO CASULA

TARANTO – «Non vi è prova della dispersione di polveri contenenti amianto nell’ambiente esterno» e «non si ravvisano comportamenti penalmente rilevanti da parte degli indagati». Si chiudono così le 50 pagine che compongono la richiesta di archiviazione depositata dal pubblico ministero Filomena Di Tursi sul caso di Nave Vittorio Vittorio e del suo carico da 1200 kg di fibre velenose che ha portato all’apertura di un’indagine per i danni causati sui lavoratori della forza armata e i cittadini di Taranto nel periodo in cui l’ex unità navale della Marina militare è stata ormeggiata alla banchina Torpediniere tra il 2007, dopo il suo disarmo, e il 2021.

L’inchiesta originale era partita dalla denuncia di due cittadini, uno dei quali assistiti dall’avvocato Ezio Bonanni dell’«Osservatorio Nazionale Amianto», ma il pm Di Tursi aveva chiesto una prima archiviazione: il gip Benedetto Ruberto, però, aveva disposto nuove indagini sul caso e l’iscrizione nel registro degli indagati di otto militari tra ammiragli e alti ufficiali. L’accusa ipotizzata nei loro confronti era di inquinamento ambientale e disastro ambientale colposo: per il giudice, in sostanza, tutti i livelli gerarchici della Marina era a conoscenza del rischio per i cittadini e l’ambiente marino, ma nessuno ha disposto la bonifica dell’ex ammiraglia della Marina fino l’8 giugno 2021, data della partenza verso la Turchia dov’è poi stata smantellata.

Dopo il provvedimento del gip, quindi, il pm Di Tursi ha effettuato nuovi accertamenti sulla vicenda e nel documento con cui sostiene che non vi siano responsabilità per gli indagati, spiega che «un’ipotetica emissione di fibre da parte del galleggiante produrrebbe un “impatto” assolutamente non significativo sulla salute della popolazione» e «un “contributo” non rivelabile rispetto al fondo urbano,

indubitabilmente ricompreso nell’alveo della normale tollerabilità». Insomma nessun rischio significativo. Nel documento, inoltre, la rappresentante della pubblica accusa ha inoltre chiarito che i suoi consulenti avevano rilevato durante alcune simulazioni presenze di fibre all’esterno dello scafo, ma in realtà quelle prove sono state compiute con una «metodologia errata e incongrua, anche quanto alle modalità di valutazione delle analisi e di risultati». A sostegno di questa nuova tesi, la procura ha depositato un parere tecnico redatto dall’Università di Bari che hanno sostenuto che i consulenti della procura «hanno alterato l’assetto, operando manovre non consentite» le condizioni della nave provocando così «la dispersione di fibre all’interno, campionando le stesse». In parole semplici l’uso di ventilatori nei locali interni allo scafo ha «potuto contaminare i rilievi condotti all’esterno del galleggiante».

Le nuove indagini, però, per l’accusa avrebbero chiarito questo aspetto e confermato la tesi iniziale del pm Di Tursi che ritiene che non vi siano responsabilità penali dei militari indagati. Ora il giudice Ruberto dovrà fissare una nuova udienza per ascoltare le parti e poi decidere se confermare o meno l’archiviazione.

 

fonte: Gazzetta del Mezzogiorno

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